venerdì 25 ottobre 2013

"Non si può morire la notte di Natale" di Enrico Ruggeri

Sono solitamente scettico rispetto ai prodotti editoriali da parte di personaggi dello spettacolo o comunque non propriamente scrittori di professione. Tutto ciò ovviamente non può valere per Enrico Ruggeri che a) è uno dei cantati che apprezzo e ascolto anche e soprattutto per il contenuto delle sue canzoni e b) è sicuramente una persona non estranea al mondo della cultura. Fatta questa doverosa premessa, accompagnata dal fatto che comunque lo scrittore-cantante in questione non è sicuramente un esordiente, avendo scritto e pubblicato altri libri (magari di carattere biografico, ma pur sempre libri) vi dirò del libro. Viene pubblicato da Dalai nel 2012 con il prezzo di copertina di euro 13,90. Leggendo qua e là le recensioni e i giudizi, soprattutto su www.ibs.it, rimango un po' spiazzato nel momento in cui mi accorgo che probabilmente non proprio a tutti questo racconto è piaciuto. Forse per le perplessità di cui parlavo all'inizio, forse perché scrivere un giallo non è mai facile e forse perché i lettori appassionati di questo genere (e io non rientro in questa categoria) hanno standard molto elevati e aspettative un tantino più alte. La storia probabilmente peccherà un tantino di contenuti e di descrizioni e non sarà piena di colpi di scena, però rappresenta (in particolare nel suo incipit) un discreto tentativo di originalità. L'idea iniziale a me è sembrata innovativa, coraggiosa, di quelle insomma che ti fanno decidere che si, il libro vale la pena di essere letto. Giorgio, che di questa storia è il protagonista, è un uomo di successo. Di quel successo che oltre ai soldi ti conferisce fama, notorietà e che ti rende agli occhi dei fan un mito. Un mito da desiderare, anche e soprattutto dal punto di vista sessuale. L'uomo, che presto scopriremo vivere una vita familiare tutt'altro che lineare e affettuosa, la sera della vigilia di Natale decide (o almeno per gli investigatori) di spararsi in testa, tentando il suicidio. Dico per gli investigatori perché nel racconto Giorgio è anche il narratore ed è facile accorgersi quindi che di togliersi la vita non aveva la benchè minima intenzione. Qui nasce appunto il mistero: è suicidio o è tentato omicidio? era lucido o era drogato? e se era drogato lo aveva fatto coscientemente da solo o era stato inganno con un miscuglio di acool e sostanze? Queste domande che il lettore si pone se le pone anche il protagonista che a questo punto, riuscitosi miracolosamente a salvarsi, non sa più di chi avere paura, di chi fidarsi, cosa pensare? Inizia quindi, nel suo letto, nella sua condizione estremamente fragile e delicata, da una parte a tentare di ricostruire il suo fisico lacerato e rimettersi in forma, dall'altra a tentare di ricostruire mentalmente, senza parlare o senza chiedere aiuto a nessuno (e a chi se no?), il suo passato, in particolare ciò che era successo in quella maledetta notte. La tristezza, il senso di abbandono e la delusione per questa situazione saranno accentuati dal fatto che paradossalmente Giorgio si troverà nella situazione di potersi fidare solamente della sua domestica. Inizia a sospettare della moglie (ex), dei figli (di entrambi farà una breve cronistoria grazie alla quale avremo modo di conoscerli meglio), degli amici più o meno fidati. Inizia un lavoro tutto mentale con il quale scaverà nei ricordi anche a rischio di farsi ancora più male. Sarà un viaggio muto. In un primo momento perché effettivamente si trova nella condizione di non poter utilizzare la parola, in un secondo momento, quando grazie ai progressi riacquista la parola e la mobilità, perché continua a fingere di trovarsi nella condizione iniziale per non doversi trovare a giocare (col potenziale assassino) a carte scoperte. Sarà un viaggio muto anche e soprattutto perché manca la figura di un vero e proprio confidente, con cui è più facile aprirsi, condividere le scoperte, ottenere sensibili risultati. E' anche in questa situazione che si nota la fragilità di un uomo di successo, i cui rapporti sociali sono fondati sul nulla o quasi, i cui rapporti familiari sono molto spesso fondati sul parassitismo. Il linguaggio che usa Ruggeri in questo romanzo è per me uno dei punti di forza. Da cantante, da presentatore, ha fatto della sua voce una specie di icona. Da scrittore le sue parole incalzano e creano velocità e stupore ma allo stesso tempo fanno riflettere. Feriscono, scolpiscono delle immaginarie rocce, lasciano il segno ma allo stesso tempo sono liberatorie, perché a questo punto è meglio una brutta verità che l'incertezza, la paura di tutti e di nessuno, l'oblio. Il finale tutt'altro che scontato rappresenta un carico di sensazioni, sentimenti e colpi di scena che viene buttato addosso al lettore che fino a quel momento ha seguito con il giusto coinvolgimento la vicenda del protagonista. Il finale, che ovviamente non vi dirò, fa riflettere, fa giudicare ed (aspetto per me fondamentale in un romanzo) è quanto di più lontano possa essistere dall'essere scontato o lieto.

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