mercoledì 8 febbraio 2023

Se pensavate di aver visto tutto su Sanremo, non avevate immaginato che Morandi avrebbe scopato sul palco del festival


Ebbene sì, la prima serata è andata.

Si sono esibiti in 7 su 14, ci sono stati i campioni in carica che hanno ripercorso la loro canzone, e uno di loro è ritornato sul palco, per poi sfasciarlo, per cantare (o provare) la sua ultima "L'isola delle rose". A tal proposito vi consiglio, se già non lo avete visto, un film in onda su Netflix, che narra proprio le vicende di questa strana isola nata in Italia, negli anni difficili e ricchi al tempo stesso.

Sono partito, con qualche minuto di ritardo, causa lavoro, perdendomi l'intervento di Benigni, l'inno cantato da Morandi e il conseguente saluto del presidente Mattarella. Ma visto i big in gioco, prenderò tutto per buono a fiducia. Mi sono sistemato davanti alla TV modello Fantozzi davanti a Italia-Inghilterra, ma per fortuna nessun megadirettore ha interrotto la visione. 

Ad una incerta Anna Oxa che ha cantato "Sali", che poi è la stessa cosa che penso tutte le volte che vedo Elodie, è stato lasciato il palco a un grande Mr. Rain che, rubando il coro di bimbi a Maria De Filippi, ha straconvinto. Eccome. 

Marco Mengoni, la cui canzone è stata abbondantemente sopra la sufficienza, ma il mio è solo un giudizio parziale del primo ascolto, Spotify a parte, mi ha riportato alla mente il De Sica di Grandi Magazzini. 




Così come Elena Sofia Ricci ha ricondotto la memoria a Francesca Chillemi e al loro "Che dio ci aiuti".
Fin qui tutto normale. Poi il palco è stato lasciato ai campioni in carica, Blanco e Mahmood che hanno cantato "Brividi", ma nulla in confronto a tutta la tramontana che ho preso in questi giorni, compreso ieri sera fino alle nove.

Alle 22.25 minuto più minuto meno finalmente il festival è scaduto nel trash. Gianni Morandi e Amadeus hanno intonato le peggiori canzoni del primo. 
Per fortuna, qualche minuto dopo, c'ha pensato Ultimo, con il suo solito stile, e con una canzone intitolata "Alba", che poi è la stessa ora a cui è finita la puntata, a portare la serata sul binario della musica. Sarà anche monotono ma è davvero forte e le sue canzoni sono, piaccia o no, un pugno in pieno viso. E' riuscito a strapparmi il primo vero "bravo" della serata, anzi no che cazzo dico? Il primo "bravo" è andato a Mr. Rain, diciamo il secondo. E non mi sono alzato a fargli una standing ovation solo perché la poltrona era troppo comoda. 
La canzone dei Coma Cose non mi esalta, al primo ascolto. Già stamattina, riascolticchiandola qua e là, mi è piaciuta di più. Il quasi limone finale aggiusta un po' tutto. Come sempre.

Ma fin qui festival perfetto? Niente affatto. Anche quest'anno dobbiamo sucarci Fiorello. Vabbè, andiamo avanti che è meglio.

Sarei stato disposto anche, a un certo punto, ad ascoltare tutta la discografia dei Pooh pur di farlo tacere. Ma niente. Ama non mi ha ascoltato.

Nulla da aggiungere su Chiara Ferragni, visto che già è stato detto e visto tutto, e c'è bisogno di rimarcare concetti già ascoltati, o su Elodie, che mi ha lasciato un attimo stordito e innamorato al tempo stesso. Ma questa è storia nota.

Blanco, come detto, a un certo punto, sfolla e sfascia tutto, ma Amadeus non fa niente per calmarlo, anzi lo chiama anche Salmo (dopo aver chiamato gIANMARIA Sangiovanni), di fatto riabilitando il suo comportamento. 

Prima vera sorpresa della serata: ottima prova dei Cugini di Campagna. 

Ma il mio top player canta tardi: e quando entra lui l'emozione è massima. Gianluca Grignani c'è. La prestazione non è assolutamente al massimo, ma la canzone è carica e i contenuti sono davvero emozionati. Comprensibile.

Cosa rimane da dire di questa prima serata? Ah sì, la svolta social di Amadeus e l'ottima performance di Mara Sattei. Insomma, anche a essere cattivi non c'è nulla che non vada in questa prima puntata. No, non riesco proprio a non farmelo piacere il Festival. 


L'unica nota stonata, forse, tutti quelli "Io Sanremo non lo guardo", ma poi stamattina sapevano più cose di me. Ma nulla di nuovo sul fronte. Tutto nella norma.

Alla prossima puntata. Cioè, a fra poche ore.

lunedì 6 febbraio 2023

In mezzo alla tempesta, senza aver paura. Perché è importante guardare Sanremo


Conversando con una persona proveniente da un’altra parte del mondo, questa mattina me ne sono uscito con un “Sai perché non ti piace e non guarderai Sanremo? Perché non hai ancora capito gli italiani”.

In effetti, lungi da me redigere un manifesto d’amore per l’Italia e gli italiani, credo che il Festival di Sanremo sia lo specchio di un paese e dei suoi cittadini che magari non saranno il più bello e i migliori, ma rappresentano comunque qualcosa di unico o, per dirla con meno enfasi, di singolare.

È iniziata, dunque, la settimana di Sanremo e il freddo polare di questi giorni, per un amante dell’estate, passa in secondo piano. Questa mattina ho aperto Spotify e ho fatto partire la mia playlist storica di Sanremo. Sì insomma ci sono. Sono pronto. Pronto a commentarlo, più o meno seriamente, comodamente poggiato sul mio divano con una organizzazione alla Fantozzi.

Sì c’è stato un tempo che non guardare Sanremo mi faceva sentire ribelle. Poi decisi di non guardarlo solo quando non ci fosse stato in gara il mio cantante preferito, infine mi sono convertito e ora non posso fare a meno di guardarlo, chiunque sia in gara. Perché Sanremo è Sanremo, come diceva una celebre sigla. Ma anche perché nel corso degli anni è cambiato, si è evoluto, è diventato altro, in parte. Sì, certo, anche io ho i miei gusti e alla conduzione di Amadeus ho preferito di gran lunga quella di Baglioni, alle battute di Fiorello preferirei di gran lunga la pubblicità, e via discorrendo. Sono gusti. Bene così.

Ma il punto non è quello. Il punto è perché, come dicevo all’inizio, Sanremo rappresenta gli italiani? E lo fa appieno? Perché gli italiani hanno bisogno di un sistema bipolare. Sì, come quello elettorale. O di qua o di là. Gli italiani hanno bisogno di schierarsi. Il fatto che poi, a gara terminata, salgano sul carro del vincitore, quella poi è un argomento che tratteremo in un altro post. Hanno bisogno di schierarsi, di scegliere, di dividersi. Su tutto. E le polemiche, guarda caso (senza fare i complottisti), anticipano sempre puntualmente ogni edizione del Festival. Ritengo che sia qualcosa di geniale.

E la polemica non è spicciola, anzi. È anche abbastanza grossa. E allora, oltre a quelle classiche, gender, immigrazione, diritti civili, crisi climatica, covid, quest’anno si è aggiunta la presenza di Zelensky. Una roba che scotta. Insomma siamo in guerra, mica nella settimana del derby. Ora, io non ho alcuna simpatia per questo o quel capo di stato impegnato in guerra, ha molta simpatia per quei popoli che la guerra la subiscono, che muoiono sotto le bombe, che perdono tutto, al di là delle ragioni del conflitto. Perché le ragioni, se ci sono, non possono mai giustificare una bomba sopra una abitazione. Detto questo, però, Zelensky è il capo di stato dell’Ucraina. Perché non ascoltarlo, al di là delle legittime idee di tutti? Insomma abbiamo visto e commentato per mesi il celebre tatuaggio a forma di farfalla di Belen che al di là dell’appagamento più visivo che sessuale, non ha aggiunto nulla di più alla nostra vita. Perché non ascoltare il capo di uno stato in guerra? Con tutti i se e con tutti i ma del caso.

Ecco, la polemica Sanremese. Sta tutto là. Per questo capire gli italiani aiuterebbe a capire Sanremo.

E poi c’è la musica. Mentre ascoltavo la playlist di cui parlavo sono venute fuori tre canzoni, una più assurda delle altre. Ve ne citerò solo una: “Gli altri siamo noi” di Umberto Tozzi. Ascoltatela, se non la conoscete. Senza Sanremo non avremmo avuto questo capolavoro. Cazzo!